Il design come strumento ed espressione di creatività
Appena rientrato a Firenze, verso la fine del 1968, mosso dall’intento di approfondire le conoscenze sul design e apprenderne le diverse tecniche, come pure dalla ferma volontà di individuare ulteriori ambiti espressivi in cui riversare la dirompente creatività, Piero decise di rivolgersi ad una delle scuole di design più accreditate di Firenze: la Scuola Lucrezia Tornabuoni di Via Santo Spirito.
Era ben consapevole di non avere l’età richiesta per la frequenza dei corsi, ma s’impegnò ugualmente nella ricerca di ulteriori contesti nei quali poter esprimere la sua passione per il colore, il design, la creazione e l’innovazione in generale.
Dopo aver esplicitato i suoi desideri alla Preside della Scuola, fu proprio quest’ultima che gli indicò la Professoressa Anna Anni – scenografa teatrale e cinematografica, intima amica di Carla Fracci e moglie di Giuseppe Menecatti, anch’egli scenografo e regista teatrale – quale insegnante più adatta ad aiutarlo nell’apprendere ed applicare le metodologie del design artistico rendendole funzionali alla sua attività.
Anna Anni si era sempre dedicata con grande passione all’insegnamento e anche con Piero fece lo stesso, riuscendo a trasferirgli sia la passione che la tecnica, nonché le modalità di combinazione di colori, forme e ispirazioni diverse, partendo dall’insegnargli i modi “per tenere in mano la matita” sino alla realizzazione di schizzi/bozzetti che poi potevano essere vivacizzati coi disegni e i colori dei tessuti.
Anna Anni ha insegnato molte cose a Piero. Durante il primo anno si dedicò a lui sistematicamente, incontrandosi almeno due volte la settimana, quando lei stessa era disponibile; l’anno seguente si rese conto che Piero aveva fatto notevoli progressi, così gli presentò l’opportunità d’inserimento in un gruppo più avanzato, costituito da ragazze che frequentavano la Scuola e che erano considerate meritevoli di proseguire nel design dell’abbigliamento.
Durante i numerosi incontri organizzati dall’insegnante con il gruppo di designer, ogni domenica mattina, veniva assegnato un tema: un argomento che ciascuno interpretava e a cui forniva una risposta attraverso il design di un capo o un modello, nonché la realizzazione di uno schizzo, indicandone anche il tessuto e i colori.
Erano moltissimi gli argomenti, le tecniche, le modalità e le sperimentazioni tramite cui esprimersi che potevano trovare forma attraverso il disegno e la creazione di abiti sartoriali e alla moda. Le numerose e diverse attività che dovevano essere seguite nel processo creativo si susseguivano le une alle altre sino a raggiungere la forma definitiva: il capo che solo il sarto – creatore, modellista, fautore e maestro – sarebbe stato in grado di realizzare. Le fasi che venivano a costituire il processo creativo del sarto secondo Piero potrebbero essere così sintetizzate:
- attribuzione di un movimento alla figura femminile o maschile, in considerazione che esiste un numero limitato di “pose”/movimenti che il modello o la figura può assumere;
- disegno dello schizzo, ossia determinazione della forma che in linea di massima avrebbe dovuto possedere il capo sulla figura, a seconda della situazione particolare in cui si sarebbe dovuto indossare;
- decisione circa lo specifico capo da far indossare, come ad esempio giubbotto, gonna, pullover, pantalone, cappello e così via;
- disegno del bozzetto del modello o abbozzo dello stesso, considerando le forme e il taglio da attribuire al capo;
- scelta della tipologia di tessuto che possa valorizzare il modello prescelto;
- colorazione del capo in bozza con china o pittura a olio (delle due era quest’ultima che si presentava più complessa ma indubbiamente più precisa e soddisfacente dal punto di vista creativo perché più affine alla scelta del sarto che è in grado così di creare il colore che desidera).
Piero ha così descritto il suo processo creativo:
«La base è l’uomo, l’essere umano così come un artista lo può immaginare… partendo da ciò, per offrire un’impostazione della figura abbigliata, si deve pensare a quale sia la situazione d’impiego dell’abito, quali siano le movenze e come queste ultime, in modo armonioso, creino un coordinamento tra busto, braccia e gambe: tutto deve possedere un movimento armonico. Il segreto cui attenersi e custodire gelosamente, ogniqualvolta si voglia rappresentare in modo corretto il capo indossato dalla modella o dal modello, deve presupporre la presenza di un busto proiettato in avanti, fermo e immobile, a cui attribuire movimento attraverso le movenze di gambe e braccia… anche la scelta dell’inclinazione della testa deve riflettere l’emozione che il sentire del sarto vuole imprimere sul capo indossato…»
«Di fatto l’artista ha già in mente ciò che vuole descrivere e, proprio partendo dal nudo e dalla base dell’essere umano, come se fosse un foglio bianco, dev’essere in grado di scegliere l’indumento da mettergli addosso, anzi deve definire quale sia l’indumento più adatto. Esiste certamente differenza tra figura maschile e figura femminile: quest’ultima dev’essere rappresentata con un maggior movimento nell’abito indossato… ciò si traduce, di fatto, nella ricerca di un drappeggio, tipico dell’abito femminile, offerto dal movimento al tessuto che, da solo, dev’essere in grado di catalizzare l’attenzione…»
«Lo schizzo del modello e del capo dipendono dal movimento che si vuole dare al disegno; si parte dalla figura e le si attribuisce il movimento più adatto. Tra abiti per la sera e abiti sportivi cambiano significativamente le movenze, passando da movimenti più dolci e rilassati nel caso dei primi a movenze più veloci e movimentate per i secondi. Di base esistono 10 principali posizioni da cui prendere avvio, sono pre-determinate e sempre le stesse… quello che crea la differenza è il capo da far indossare, il modello – frutto della propria fantasia – e il tessuto che, a seconda del peso, assume un drappeggio differente…»
«Il colore, alla base di qualsiasi collezione, ne rappresenta la “guida”; per colore non si intende esclusivamente la tinta unita, esso può essere scandito in nuances differenti… il colore va “tentato”, non è detto che si riesca a raggiungere immediatamente l’intensità desiderata. I pennelli o la china sono strumenti necessari per coadiuvare nella definizione e nella decisione dei legami con altri colori o dell’unicità dello stesso…»
Dalla moda milanese a quella fiorentina
Tra il 1970 ed il 1971, per la prima volta, Piero si avvicinò ed entrò in contatto con due noti brand della moda italiana, recandosi a Milano per assistere alle sfilate di Versace e Armani.
Anna Anni, ancora una volta, fu il suo “angelo custode”: conoscendo la sua passione per la moda, procurò a Piero gli inviti per le sfilate.
Piero poté così vivere l’esperienza dell’alta moda e sentire l’aria che spirava all’interno di questo mondo. Tutto ciò gli piacque molto e, spinto da questo forte moto interiore, una volta rientrato a Firenze, aderì alla Confederazione Nazionale dell’Artigianato (CNA) molto attiva in una città di eccellente “cultura artigiana”.
La CNA aveva al suo interno la rappresentanza della categoria dei sarti, con cui Piero riteneva fosse giunto il momento di scambiare idee ed esperienze.