Il lavoro del sarto come doposcuola
Già a partire dalla Scuola Elementare Pierino si recava nella bottega di uno dei sarti di Melendugno, Antonio Mastrolia, per osservare, affascinato, il lavoro che si svolgeva al suo interno. Il tempo trascorso presso la bottega del sarto rappresentava l’unica tregua alla sua monelleria; quei momenti trascorsi in bottega erano gli unici in cui riusciva ad essere tranquillo.
All’età di undici anni iniziò ad infilare gli aghi perché la vera gavetta partiva da lì, da quel filo di cotone e dalla cruna in cui infilarlo; tutti i ragazzi “a bottega dal sarto” avevano il compito di capire quando sarebbe servito l’ago già infilato con il cotone del colore necessario, così da porgerlo prontamente al sarto senza che lui chiedesse nulla.
I ragazzi “a bottega” a Melendugno erano di tutte le età, dagli undici ai diciotto anni; se inizialmente la necessità di avere una maggiore dimestichezza con l’ago richiedeva ai più piccoli di infilare il filo di cotone, una volta compresa ed esperita tale manualità si richiedeva loro di esercitarsi con i “punti molli” quale importante contatto non solo con l’ago ma anche con il tessuto. Il lavoro dei più piccoli veniva retribuito con delle “paghette” di circa duecento lire che costituivano anche le mancette per le consegne effettuate presso le abitazioni dei clienti.
I medi proseguivano per questa strada, sino a raggiungere i venti anni, età in cui i più grandi avrebbero potuto lavorare per conto proprio.
A Lecce per imparare il mestiere di sarto
All’età di tredici anni Pierino si trasferisce a Lecce dove inizialmente lavora da un sarto vicino all’Arcivescovato e poi in prossimità del Teatro Massimo. L’intento era quello di apprendere da scuole e approcci differenti i segreti del mestiere attraverso quello che, per l’appunto, veniva denominato apprendistato. Quest’ultimo richiedeva l’iscrizione all’Artigianato da parte dell’apprendista e la dichiarazione alle Camere di Commercio da parte dei sarti presso cui il discente svolgeva l’attività.
Lecce rappresentava una buona “piazza” presso cui svolgere l’apprendistato perché era città e non più provincia, inoltre la clientela cittadina, che era decisamente più impegnata in attività diverse dal punto di vista lavorativo e che poneva grande attenzione anche alla dimensione sociale, mostrava un notevole gusto nell’abbigliarsi e nell’agghindarsi per la passeggiata nelle vie del centro, per gli incontri di lavoro e le visite a parenti e amici.
Trovandosi a sedici chilometri da Melendugno, Lecce poteva essere raggiunta quotidianamente in auto: la partenza era prevista per le otto del mattino, si giungeva in sartoria alle nove e ci si dedicava al lavoro sartoriale sino alle diciannove; unica pausa era il pranzo presso i giardini della Villa Comunale di Lecce, con il cestino portato da casa.
Con i ragazzi che in quel periodo erano apprendisti presso la sartoria, oltre a condividere l’esperienza lavorativa, si “imparava la vita” ascoltando la favella, spesso esagerata e poco veritiera, dei più grandi ed esperti.
La retribuzione giornaliera era di circa 1.000 lire, raggiungendo quindi le 25.000 o 30.000 lire al mese. Con la prima paga Piero decise di comprare la “collana di salsiccia”, cosa mai vista prima a Melendugno e che andava assolutamente assaggiata!